Il Vino nella Tuscia

Il Vino nella Tuscia

La Tuscia viterbese è il territorio a nord della regione Lazio, delimitato a sud dalla provincia di Roma, ad est dall'Umbria, a ovest dal Mar Tirreno ed a nord dalla Toscana. E' un'area che vanta da millenni una tradizione vitivinicola: patria degli Etruschi, viticoltori essi stessi ed amanti del buon vino, mai assente ai loro leggendari banchetti, di cui spesso era il protagonista assoluto.

Tuscia, dal latino 𝘵𝘶𝘴𝘤𝘶𝘴, contrazione di Etruscus - abitante dell’antica Etruria.

Sebbene la coltivazione della vite in questa zona risalirebbe all’eta del bronzo, circa XI sec. a.C., è proprio con gli Etruschi, che importarono vitigni migliori dalla Grecia, che si sviluppò.

Gli Etruschi furono tra i primi a rendersi conto che questa terra, la Tuscia, è una zona straordinaria che da forza, vigore a qualsiasi essenza vegetale.

Ovviamente la coltivazione delle vite in Etruria non era specializzata, così come rimarrà in prevalenza in Italia per secoli: non c’era una vera e propria vigna come la intendiamo oggi. Infatti la vite selvatica, Vitis vinifera sylvestris, è una specie autoctona dell’area mediterranea e, soprattutto in Italia, trova le sue condizioni ideali. Ancora oggi è possibile trovare viti selvatiche nei nostri boschi (le varietà che coltiviamo oggi derivano dalla vite selvatica, modificata attraverso millenni di selezioni ed incroci attuati dall’uomo).

Gli Etruschi dunque coltivavano le viti come le vedevano crescere spontaneamente nei boschi. La vite è un arbusto rampicante, una specie di liana. In un bosco, il suo ambiente naturale alle nostre latitudini, tende ad arrampicarsi su un albero per raggiungere il più possibile la luce (è molto eliofila). Non è però una specie parassita: la vite non interferisce con l’albero su cui s’aggrappa. Questa modalità di coltivazione etrusca è stata chiamata per secoli  vite maritata. La vite è come “sposata” all’albero a cui s’avvinghia. Questa definizione non è d’epoca etrusca ma nacque più tardi, in epoca Romana. Gli Etruschi sembra che l’indicassero col termine di àitason (letto, probabilmente, “aitasun”).

Le viti erano allevate su soprattutto su aceri campestri, ma anche pioppi, olmi, ulivi ed alberi da frutto. La vite quindi tendeva a crescere molto, ad avere tralci anche lunghissimi. La raccolta dell’uva era effettuata con le mani o con falcetti, con scale appoggiate agli alberi, oppure usando strumenti dal manico molto lungo.

Già perfetti viticoltori, nei famosi banchetti etruschi il buon vino non mancava mai, era un elemento fondamentale della loro quotidianità. Ma come lo facevano ?

Lavoravano e vinificavano nel fresco di alcune cantine realizzate su tre piani. L'uva si pigiava a livello del suolo (primo livello) e il mosto, attraverso apposite tubature di coccio, colava nei tini disposti nei locali sottostanti (secondo livello) in cui fermentava. Dopo la svinatura, il vino veniva trasferito a un livello ancora più profondo (terzo livello), adatto per la maturazione e la lunga conservazione.

Fu un commercio vasto quello del Vino, documentato dal ritrovamento di anfore vinarie etrusche in molte regioni: oltre che nel  Lazio, in Campania, nelle colonie greche della Sicilia orientale, in Calabria, in Sardegna, in Corsica, nella Francia del sud e nella penisola iberica, sia sulle coste mediterranee che quelle dell’Atlantico meridionale.

Il mercato più importante di tutti era quello degli insediamenti celto-liguri del Sud della Francia. Nei resti archeologici di più di 70 siti della regione sono stati trovati grandi quantità di vasi in bucchero ed anfore da vino etrusche. Dall’Etruria, i mercanti seguivano le isole dell’arcipelago toscano e passavano dalla Corsica. Sui fondali marini sono state trovate navi etrusche con interi carichi di anfore vinarie e vasellame pregiato da mensa. 

Vi fu anche un commercio minore via terra, sia interno che verso i territori dell’Europa centrale transalpina, dove sono stati trovati numerosi oggetti del simposio etrusco.

Il vino era trasportato in anfore di terracotta, usate anche per la conservazione, antenate delle più note anfore romane.  All’interno erano spalmate di resina e chiuse con tappi di sughero sigillati con pece. La forma era diversa a seconda del luogo di produzione ed evolvette nel tempo verso forme sempre più allungate, per facilitare lo stivaggio nelle navi.

Il nome della nostra cantina è un omaggio proprio alla nostra terra e al popolo etrusco. LE LASE sono meravigliose figure della mitologia etrusca: grande famiglia di spiriti femminili alati, creature semidivine, che incarnano il significato di genio e di ingegno (assimilabili alle ninfe della cultura egea-mediterranea e molto dopo agli angeli cristiani).

Anche i nomi dei nostri vini si ispirano alla storia e alla "religione" etrusca. Cautha, Thesan, Satres, Semia, Evan sono i nomi di divinità del pantheon etrusco.

Gli stessi Romani, dopo aver espugnato l’Etruria continuarono la tradizione vinicola imparando dagli Etruschi tutte le tecniche più avanzate.

Nel medioevo la produzione del vino in Tuscia ebbe un totale rallentamento dovuto alle invasioni barbariche e ai lunghi periodi di carestia ma certamente non mancava ai potenti feudatari e alla corte papale.

Celebre la leggenda del vino Est Est Est di Montefiascone, splendido borgo della tuscia, a riprova del fatto che in questa terra si è sempre prodotto dell'ottimo vino. Correva l'anno 1111, quando Enrico V di Germania si dirigeva a Roma per essere incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero. Al suo seguito, ecco arrivare anche Johannes Defuk, vescovo e grande amatore di vino. Il prelato aveva ordinato al servo Martino di precederlo lungo il cammino, di individuare le taverne con il miglior vino e segnarle con la scritta “Est” (ovvero “C’è”, riferendosi al vino buono). E così fece.

Arrivato a Montefiascone trovò un prodotto eccellente: il vino era talmente buono da ottenere la valutazione massima. Egli infatti, ripeté tre volte il segnale stabilito e accanto alla prima osteria, scrisse a grandi lettere “Est! Est!! Est!!!” con sei punti esclamativi. Il cardinale ne condivise l’opinione, amò così tanto la bevanda da restare nella cittadina per tre giorni.

“Città dei Papi” è l'appellativo con cui è principalmente nota Viterbo - capoluogo della Tuscia - dovuto al periodo in cui, tra il 1257 al 1281 fu la sede pontificia al posto di Roma. La città, ospitò per periodi più o meno lunghi oltre 40 papi e la loro corte durante tutto il medioevo e il rinascimento.

Nel rinascimento quando i papi e l’aristocrazia romana godevano dell’immensa bellezza della Tuscia e dei suoi grandi sapori, il vino torna ad essere protagonista. Sulla tavola dei Farnese, signori indiscussi della Tuscia, e di papa Paolo III Farnese, il buon vino non mancava mai. Paolo III affidava la cura e la scelta del vino al suo bottigliere Sante Lancerio.
Ed è proprio Lancerio che ci ha lasciato un resoconto importante sui vini che impreziosivano i banchetti rinascimentali.

Questo “bottigliere” eseguì il suo compito con capacità e passione, assaggiando, sorseggiando, osservando e annotando recensioni su 53 vini, e trasferendo poi tutte queste esperienze in una lettera, indirizzata al cardinale Guido Ascanio Sforza.

L’aspetto più interessante è l’approccio complesso e articolato alla degustazione. Sante Lancerio analizza e riporta le informazioni circa il colore e l’aspetto visivo dei vini, annotazioni legate al territorio e alla vigna, descrizioni particolareggiate del gusto del vino, utilizzando una serie di aggettivi che sono entrati a far parte del bagaglio semantico del moderno Sommelier.

Per il colore, ad esempio, utilizza termini come “incerato, carico, verdeggiante, dorato”; per definire il gusto impiega parole come “tondo, grasso, asciutto, fumoso, possente, forte, maturo” e così via. Un altro aspetto decisamente interessante riguarda i riferimenti all’ordine di servizio dei vini e al loro abbinamento con le pietanze. 

Nel 1890 il professore Giuseppe Ferraro pubblica per la prima volta il manoscritto di Sante Lancerio con il titolo I vini d’Italia giudicati da Papa Paolo III (Farnese) e dal suo bottigliere Sante Lancerio.

 

Sante Lancerio, può dunque, a buona ragione, essere considerato il primo “sommelier” della storia moderna e la sua missiva la prima ''Guida dei Vini d'Italia''.

Arrivando ai nostri giorni, se per tanto tempo, (troppo!), la produzione vitivinicola del territorio non ha goduto di particolare rilevanza, nell’ultimo trentennio è iniziata per la Tuscia una nuova primavera. I vini e le cantine della sono cresciute per numero, per conoscenze, esperienze, per qualità e riconoscimenti ufficiali. E’ questa la parola d’ordine per i vini della Tuscia, qualità, ma anche rispetto per il prodotto, per il consumatore, per l’estimatore e non per ultimo l’ambiente.

Un vero orgoglio per chi vive e ama la Tuscia.

Cheers!!

 

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